La storia

 

PILLOLE DI STORIA

Una terra italiana, romana ancor prima. Oggi un territorio dal quale il 90% degli italiani sopravvissuti hanno dovuto riscrivere le pagine della propria vita lontano dai luoghi di nascita. L'esodo giuliano-dalmata è un evento storico consistito nella diaspora forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e lingua italiana verificatosi alla fine della Seconda Guerra. Il fenomeno fu susseguente a eccidi di massa noti come i massacri delle foibe, perché in queste profonde caverne verticali, o pozzi tipici della regione carsica e dell'Istria, venivano gettati i corpi senza vita. In queste pagine ricostruiamo una storia difficile da raccontare. Fatta di grandi sofferenze e tanti perché. Lo facciamo in pillole e poi raccontandone tanti dettagli in un trattato scritto da un figlio di un esule, un giornalista, studioso della materia.  

 

 

 

+ ROMA, DUEMILA ANNI FA

221-129 a.C. al termine delle guerre contro gli Istri, documentate da Tito Livio, Roma prende il controllo della penisola istriana. Si trattò di una campagna di repressione della pirateria, condotta da P. Cornelio Scipione Asina e M. Minucio Rufo. Fu intrapresa dopo che gli Istri avevano depredato alcune navi romane che trasportavano granaglie.

 

   

+ AUGUSTO E LA REGIO VENETIA ET HISTRIA

7 d.C. La suddivisione dell’Italia in regiones attuata dall’Imperatore Augusto crea la X Regio Venetia et Histria. La Venetia era la parte abitata dal popolo, dal quale prende il nome, dei veneti, che abitavano tra l'adige e il Tagliamento. Un popolo già noto ai greci e aglio etruschi con i quali commerciava, mentre il Friuli era abitato in prevalenza da genti celtiche, tra le quali si ricordano i carni e, tra l'Oglio e l'Adige, importanti stanziamenti di Cenomani. La colonizzazione latina ebbe inizio nel II Secolo, periodo nel quale avviene la deduzione di Aquileia (181 a.C.) come colonia di diritto latino e soprattutto come postazione difensiva contro le invasioni da oriente. L'Istria era abitata dagli Histri, a nord dei quali erano stanziati i Giapidi e a est, lungo la costa centrale del Quarnaro, erano stanziati i Liburni. Importanti centri della regione, all'epoca parte della X Regio, erano, oltre a Castrum Silicanum e Pons Aesontii (i due insediamenti antecedenti Gorizia), Tergeste (Trieste) e Pietas Jiulia (Pola), anche Pucinum, Piranum, Silvo, Parentium, Nesactium, Albona, Flanona.

 

   

+ LE DEVASTAZIONI DEI GOTI

538. Dopo le devastazioni dei Goti, l’Alto Adriatico orientale entra nella sfera di dominio dell’Impero bizantino. Questo avviene nell'ambito della guerra gotica (535-553), detta anche guerra greco-gotica, fu un lungo conflitto che contrappose l'impero bizantino agli Ostrogoti nella contesa di parte dei territori che fino al secolo precedente erano parte dell'Impero Romano d'Occidente.

 

   

+ ARRIVANO GLI SLAVI

776. Dopo il periodo transitorio del dominio dei Goti, nel 538/39 Istria finì sotto il dominio di Bisanzio.
Nel 776 l’Istria fu occupata dai Franchi che abolirono l’ordinamento romano-bizantino per sostituirlo col feudalesimo. Nei secoli VII e VIII ebbero inizio gli insediamenti degli Slavi.

 

   

+ LA REPUBBLICA DI VENEZIA. GLI SLAVI IN FUGA

993. La pace di Rialto garantisce alla Repubblica di Venezia il diretto di commerciare e di navigare lungo il litorale istriano. Fra il XII ed il XIV secolo i Comuni istriani avrebbero fatto atto di dedizione nei confronti della Serenissima, laddove Trieste, gelosa delle proprie autonomie, si dette al Duca d’Austria nel 1382. Nei secoli di dominio veneziano varie ondate di pestilenze fecero sì che i Dogi ripopolassero l’entroterra istriano e dalmata con popolazioni slave in fuga dall’avanzata turca nei Balcani. 

 

   

+ CEDUTI ALL'AUSTRIA

1797. Il Trattato di Campoformio, un comune del Friuli alle porte di Udine, fu firmato il 17 ottobre 1797 
dal generale Napoleone Bonaparte, comandante in capo dell'Armata d'Italia e il conte von Cobenzi in rappresentanza dell'Austria. Venezia viene ceduta all'Austria, insieme all'Istria e alla Dalmazia.

 

   

+ UNA TERRA CONTESA

1809. Il Trattato di Schönbrunn, a volte richiamato come trattato di Vienna definisce la pace e viene ratificato il 14 ottobre 1809 fra Napoleone e Francesco II. Viene firmato al castello di Schönbrunn, presso Vienna, dai delegati degli imperi francese e austriaco. Trieste, l'Istria e la Dalmazia passano alla Francia. Nel 1915, dopo il Congresso di Vienna, l'Austria acquisisce nuovamente Istria e Dalmazia. 

 

   

+ NEL REGNO D'ITALIA

1866. Il 12 agosto del 1866 è la data  dell'Armistizio di Cormons. Si concludono le operazioni militari della Terza Guerra d’Indipendenza: nonostante le sconfitte di Lissa e di Custoza (ma dopo la vittoria di Garibaldi, nella foto, a Bezzecca e grazie ai successi dell’alleata Prussia ed alla mediazione diplomatica della Francia, il Veneto ed il Friuli entrano a far parte del Regno d’Italia. 

 

   

+ I LEGIONARI DI D'ANNUNZIO OCCUPANO FIUME

1919. Il 10 settembre 1919, Trattato di Saint-Germain-en-Laye. Assegnazione all'Italia di Trieste, Gorizia e dell'Istria occidentale: i nazionalisti denunciano la “vittoria mutilata”. Due giorni dopo, Gabriele d’Annunzio e i suoi Legionari occupano Fiume, rivendicando l’annessione al Regno d’Italia. 

 

   

+ IL TRATTATO DI RAPALLO

1920. Il 12 novembre 1920 è la data del Trattato di Rapallo. Viene esteso il confine orientale italiano alle Alpi Giulie con l’enclave di Zara in Dalmazia. Il Natale di Sangue pone fine alla Reggenza Italiana del Carnaro (il logo a destra), l'entità statuale proclamata dal poeta Gabriele D'Annunzio l'8 settembre 1920 nella città di Fiume.

 

   

+ IL TRATTATO DI ROMA

1924. Con il Trattato di Roma del 27 gennaio, avviene la spartizione dello Stato Libero di Fiume tra Regno d’Italia (la città di Fiume) e Regno dei Serbi, Sloveni e Croati (entroterra, Porto Baross e delta dell’Eneo). Nella foto, il confine orientale fra Italia e Jugoslavia sul fiume Eneo, deciso con il trattato di Roma, che divideva Fiume da Sussak.

 

   

+ 1940, SECONDA GUERRA. 1943, L'ARMISTIZIO. ECCO LE FOIBE

1940-1943. Il 10 giugno l’Italia entra nella Seconda Guerra Mondiale, il conflitto che tra il 1939 e il 1945 vide contrapporsi da un lato le potenze dell'Asse e dall'altro i Paesi Alleati.
L'8 settembre 1943 è il giorno dell'armistizio. L’Italia si arrende agli Alleati; prima ondata di uccisioni nelle Foibe istriane e in Dalmazia da parte dei partigiani di Tito: un migliaio le vittime. 

 

   

+ ZARA BOMBARDATA. COMINCIA L'ESODO

1943-1944. Dal 2 novembre 1943 al 31 ottobre del 1944 si assiste ai bombardamenti su Zara.
I monumenti, le mura e le chiese di Zara rappresentavano la testimonianza della presenza latina e italiana in Dalmazia, una presenza che nel progetto espansionista dei nazionalisti croati che avevano sposato la lotta di liberazione nazionale al seguito di Tito doveva essere definitivamente cancellata. Sembra pertanto che tali bombardamenti a tappeto nei confronti di quella che lo scrittore ed esule spalatino Enzo Bettiza definì “Dresda dell’Adriatico” furono richiesti agli Alleati da Josip Broz “Tito”, carismatico leader comunista della resistenza jugoslava. Su 22.000 abitanti circa, 2.000 morirono sotto le bombe (nessun’altra città italiana ha registrato il 10% di vittime civili sotto i bombardamenti) e 15.000 fuggirono in Italia, dando inizio all’Esodo.

 

   

+ I QUARANTA GIORNI DI TITO

1945. Anticipando l’arrivo delle truppe angloamericane, il IX Korpus dell’Esercito Popolare di Liberazione  della Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia, Fiume e l’Istria, scatenando la seconda ondata di uccisioni nelle Foibe ed attuando deportazioni ed esecuzioni sommarie di oppositori al progetto di Tito di annettere la Venezia Giulia alla nascente Jugoslavia: almeno 5.000 le vittime. 

 

   

+ DA BELGRADO ALLA STRAGE DI VERGAROLLA

1945-1946. 9 giugno 1945: Accordo di Belgrado. La Linea Morgan divide la Venezia Giulia in una Zona A sotto amministrazione militare angloamericana (le città di Trieste, Gorizia e Pola) ed una zona B sotto amministrazione militare jugoslava (l’entroterra di Trieste e Gorizia, l’Istria e Fiume).

E, il 18 agosto 1946, in una domenica in cui decine di famiglie di Pola si erano riunite nella località balneare di Vergarolla per assistere ad una manifestazione sportiva, un’esplosione provocò 65 morti e 54 feriti, donne e bambini compresi. Vicino a quella spiaggia giacevano mine che erano state prelevate dagli apprestamenti difensivi sottomarini della limitrofa base navale e disinnescate: soltanto un esperto di esplosivi avrebbe potuto provocare l’esplosione e le successive indagini condussero a personaggi locali collegati all’OZNA, la polizia segreta di Tito. Il fatto è noto come "Strage di Vergarolla".

 

   

+ 350.000 ESULI LONTANI DALLA PROPRIA TERRA

1947. Con il Trattato di pace a Parigi tra l'Italia e le potenze alleate, il 10 febbraio 1947, la Repubblica Italiana perde gran parte della Venezia Giulia e l’ultimo lembo della Dalmazia. Istituzione del Territorio Libero di Trieste diviso in una Zona A (sostanzialmente l’attuale provincia di Trieste) sotto amministrazione militare angloamericana ed una Zona B (Istria nord-occidentale) sotto amministrazione militare jugoslava.
28.000 abitanti di Pola su 32.000 abbandonano il capoluogo istriano, avviandosi verso i Centri Raccolta Profughi insieme a decine di migliaia di istriani, fiumani e dalmati (il 90% della componente italiana) che eserciteranno il diritto di opzione per la cittadinanza italiana: gli esuli saranno circa 350.000 in tutto.
L’insegnante Maria Pasquinelli manifesta la disperazione del momento uccidendo a pistolettate il comandante della guarnigione britannica di Pola Robin De Winton.

 

   

+ DA MOSCA A OSIMO, TRENT'ANNI SENZA UN FUTURO

1948-1954-1975. Con la Dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948, britannici, francesi e statunitensi, alla vigilia delle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana, si dichiarano favorevoli al ritorno dell’intero TLT alla sovranità italiana, proponendo all’Unione Sovietica un “protocollo aggiuntivo” al Trattato di Pace. Il 13 aprile Mosca respinge la proposta. 
Il 5 ottobre 1954: la data del Memorandum di Londra. Intesa concernente il Territorio Libero di Trieste: il successivo 26 ottobre la Zona A passa all’amministrazione italiana e la Zona B all’amministrazione civile jugoslava. 
E, con il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, l’Italia rinuncia definitivamente alla Zona B dell’ex TLT:  la sovranità italiana sulla ex Zona A e quella jugoslava sulla ex Zona B sono bilateralmente ratificate. 

 

   

+ INFURIA LA GUERRA A EST

1991-1999. Slovenia e Croazia dichiarano l’indipendenza dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.  Le guerre jugoslave sono state una serie di conflitti armati, inquadrabili tra una guerra civile e conflitti secessionisti, che hanno coinvolto diversi territori appartenenti alla Repubblica Federale di Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, causandone la dissoluzione.

 

   

+ IL GIORNO DEL RICORDO

2004. Il 30 marzo 2004, viene istituito il Giorno del Ricordo. La legge 92/2004 dedica il 10 febbraio alla memoria delle vittime delle Foibe, dell’Esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale italiano “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle Foibe, dell’Esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Un mese dopo, il 30 maggio 2004, la Slovenia entra nell'Unione Europea...

 

   

+ ANCHE LA CROAZIA IN EUROPA

2013. Dopo la Slovenia nel 2004, la Croazia è stata la seconda delle sei repubbliche che facevano parte della Jugoslavia a divenire membro dell'UE. La Croazia è diventata il 28º stato membro dell'unione Europea il 1º luglio 2013. Tra i negoziati di adesione, anche la Cooperazione col Tribunale Internazionale sui crimini nella ex Jugoslavia. La Croazia ha dovuto estradare diversi suoi cittadini verso il Tribunale Internazionale sui crimini nella ex Jugoslavia, circostanza che ha creato diverse polemiche sulla scena della politica interna croata. 

 

 

 

UNA STORIA DA RACCONTARE
Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia: una terra contesa

Gli Istri, di probabile origine illirica, diedero vita alla cultura dei castellieri (tipiche opere fortificate edificate in cima alle alture): massimo centro politico, economico ed artistico sviluppatosi nell'ambito di tale cultura fu la città di Nesazio, situata nei pressi di Pola. L’imperatore Augusto creò numerose colonie di legionari nella penisola, allo scopo di proteggere i confini orientali d’Italia dai barbari, sicché, secondo lo storico Theodor Mommsen, nel V secolo l'Istria era completamente latinizzata.

Dopo le invasioni barbariche del IV e V secolo (Unni e Goti), la popolazione superstite si concentrò lungo la costa, ove iniziò a fortificarsi nelle città romane come Pietas Julia (Pola - Pula), caratterizzata dal famoso anfiteatro sul mare, Alvona (Albona - Labin), Tarsatica (Fiume - Rijeka), Iader (Zara - Zadar) il piccolo gioiello romano-bizantino al centro della Dalmazia, la strategica  Tragurium (Traù – Trogir ), isola fortificata poco a nord di  Salona - Aspalatos (Spalato - Split), sede del famoso palazzo fatto costruire dall’Imperatore Diocleziano, Epidaurus (Ragusavecchia – Cavtat), antica colonia greca i cui abitanti fonderanno successivamente Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik) e Acruvium (Cattaro – Kotor), la fortezza a presidio dell’omonimo splendido fiordo naturale.

Fu proprio in questo periodo che l’Istria e la Dalmazia iniziarono ad essere terre di mezzo fra occidente latino e oriente greco e quindi  protagoniste della storia dell’epoca. Caio di Salona e Giovanni IV di Zara furono fra i primi papi della Chiesa Cattolica, mentre lo scalpellino Marino di Arbe, venuto a Rimini per costruire il porto, fu il fondatore della comunità monastica che poi  diventò la Repubblica di San Marino.

Venendo meno il dominio bizantino intorno all’anno Mille, le varie città conobbero un ampio periodo di indipendenza destreggiandosi fra il protettorato ungherese, serbo, veneziano e turco. Il tardo latino  - utilizzato dal dalmata San Girolamo per la Vulgata - passò a trasformarsi nella favella Dalmatica, parlata sino al Cinquecento a Ragusa e più a nord, sino a fine Ottocento, nell’isola di Veglia: leggenda vuole che San Girolamo, Dottore della chiesa, mentre traduceva le Sacre Scritture dal greco al latino, quasi a scusarsi per le sue espressioni dialettali, soleva ripetere nelle preghiere “Parce mihi domine quia dalmata sum” (“Perdonami, o Signore, perché sono dalmata”).

La peculiare funzione di ponte fra due mondi, fra due culture, quella veneto-italica e quella  slavo/ungherese/bizantina e poi turca dei Balcani fu una caratteristica che segnò la cultura istriano-dalmata dal medioevo in poi.

Il vescovo Pier Paolo Vergerio di Capodistria, il teologo Mattia Flacio di Albona e l’arcivescovo Marcantonio De Dominis di Arbe parteciparono attivamente al dibattito sulla Riforma Protestante.

Dopo una fase podestarile che vide militari di Ancona, Rimini e Fermo reggere i vari comuni istriano-dalmati, solo Ragusa riuscì a mantenere l’indipendenza, costituendosi in Repubblica indipendente sotto il protettorato ottomano. Il resto della Dalmazia e l’Istria conobbero cinque secoli di prosperità grazie all’amministrazione veneziana, la quale riattivò i commerci con l’entroterra balcanico e con il Medio oriente.

La peculiare architettura tipicamente veneziana che si può ammirare ancor oggi in tutte le città dell’Istria e della Dalmazia, da Muggia in Italia a Dulcigno in Montenegro, è propriamente espressione del lungo periodo di pace durante il quale la Serenissima riservò alle città e alle isole istriane e dalmate la stessa cura che aveva per quelle di terraferma. Scultori come Giorgio Orsini da Sebenico o architetti come Francesco Laurana hanno lasciato al mondo capolavori che oggi vantano la protezione dell’Unesco.

Ecco perché alla caduta della Repubblica marciana nel maggio 1797 furono i fedeli Schiavoni, cui oggi è intitolata la famosa Riva davanti al Palazzo Ducale e cioè abitanti della costa istriano-dalmata senza distinzione di nazionalità, gli ultimi suoi eroici difensori ed il successivo 23 agosto a Perasto, nella Dalmazia oggi montenegrina, venne definitivamente sepolto il Gonfalone della Repubblica al termine di una commovente cerimonia, durante la quale venne scandito solennemente ancora una volta il motto che legava queste terre a San Marco: Ti con nu, nu con Ti (Tu con noi, noi con Te).

 

Il percorso risorgimentale di Istria e Dalmazia

Negli  anni fra il 1806 ed il 1809 Istria e Dalmazia appartennero al Regno Italico di Napoleone, per poi venire assegnate all’Impero d’Austria al termine del Congresso di Vienna: durante l’Ottocento risultarono numerosissimi i patrioti dell’Adriatico orientale che parteciparono al Risorgimento.

Federico Seismit Doda  di Ragusa, il quale partecipò alla difesa della Repubblica Romana insieme a Garibaldi e Mameli, divenendo poi più volte ministro delle finanze; il letterato rovignese Giuseppe Picciola; Antonio Bajamonti, ultimo sindaco italiano di Spalato; lo studioso e insegnante Carlo Combi di Capodistria, promotore della rivista La porta orientale (d’Italia, cioè l’Istria); l’Abate Francesco Carrara, che iniziò gli scavi di Salona, fondò l’Archivio Capitolare di Spalato e per primo pensò a una nazione dalmata, ed i fratelli Emilio e Attilio Bandiera, veneziani di madre dalmata.

Più di tutti Niccolò Tommaseo, compilatore del primo Dizionario della lingua italiana e del primo Dizionario dei Sinonimi, ma soprattutto figura culturale di spicco quale voce cattolica del Risorgimento italiano. Con lo stesso sentimento, sempre mosso da radicate convinzioni religiose, fu, insieme a Bajamonti e Carrara, l’ultima grande figura di transizione fra la cultura italiana e quella slava (croata e serba) dell’Ottocento, come la sua raccolta Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci del 1841 o la sua opera bilingue Scintille - Iskrice dell’anno seguente restano a testimoniare.

Purtroppo i suoi sforzi e le sue preghiere furono vane: lo sviluppo dei distinti sentimenti nazionali, sempre più accesi a far tempo dalla metà dell’Ottocento, provocò non pochi scontri, sia in Istria, sia specialmente in Dalmazia, ove, dopo la Terza guerra d’indipendenza, caratterizzata dall’infausta battaglia di Lissa del 1866, l’Impero asburgico smise di essere un amministratore super partes, iniziando platealmente a favorire l’elemento croato in tutti i gradi dell’amministrazione sia civile che ecclesiastica. Come sappiamo dai verbali del Consiglio della Corona del 12 novembre 1866, fu infatti l’imperatore Francesco Giuseppe in persona a ordinare di procedere “con energia e senza indugio alcuno” nell’attuare le “Misure contro l’elemento italiano in alcuni territori della Corona”.

Nemmeno la nascita della Triplice Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia nel 1882 servì a mutare lo stato delle cose: ne derivò una progressiva emigrazione degli italiani dall’Istria, ma specialmente dalla Dalmazia, regione in cui la lingua italiana si parlava ormai solo nella cinque città principali ed in alcuni centri delle isole. Tra quanti consideravano incompleta l’unità d’Italia, dall’una e dall’altra parte del confine italo-austriaco, si sviluppò l’irredentismo, cioè il movimento politico e culturale che auspicava l’annessione delle terre non ancora redente dalla dominazione asburgica (Trentino, Venezia Giulia e Dalmazia).

L’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina nel 1908, senza previa consultazione ed informazione e successiva compensazione dell’alleato italiano, come stabilito dalle clausole della Triplice, fece degenerare ancor più la situazione cosicché, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, furono centinaia i dalmati e istriani che espatriarono per non venire arruolati nell’imperial-regio esercito e indossare invece la divisa italiana, come lo spalatino Francesco Rismondo o il capodistriano Nazario Sauro, pur consapevoli del rischio di finire impiccati come traditori qualora fatti prigionieri.

Il 4 novembre 1918 la vittoria italiana, benché “mutilata”, consentì il compimento di quella che molti videro come una Quarta Guerra d’Indipendenza, necessaria a completare l’unità d’Italia.

 

La Prima Guerra Mondiale

Alla conclusione del conflitto (1918) e dopo complesse trattative diplomatiche, in cui s’inserì pure la spedizione di Gabriele d’Annunzio a Fiume (1919-‘20), l’Italia avrebbe completato il suo percorso di riunificazione nazionale, ma all’interno dei nuovi confini sarebbero finite pure consistenti quantità di popolazioni slave. Il “fascismo di frontiera” avrebbe poi imposto l’italianizzazione di toponimi e nomi, nonché il divieto dell’uso dello sloveno e del croato in pubblico: si trattò della forma in cui in Italia si manifestò lo “Stato nazionale”. In effetti, decaduti gli imperi multinazionali, in tutta Europa ogni Stato rappresentava la manifestazione di una nazionalità, senza alcuna tutela nei confronti delle minoranze (italiani di Dalmazia ed albanesi del Kosovo nel Regno di Jugoslavia, tedeschi in Polonia e Cecoslovacchia).

 

La Seconda Guerra Mondiale

Scoppiata nel 1939, la Seconda Guerra Mondiale avrebbe interessato da vicino il confine orientale italiano della primavera del 1941. Quel 6 aprile, infatti, l’aviazione tedesca bombardò Belgrado, capitale del Regno di Jugoslavia che, in seguito ad un colpo di stato, aveva denunciato la propria alleanza con la Germania e si era avvicinato all’Inghilterra ed all’Unione Sovietica. In un paio di settimane il regno dei Karageorgević venne sconfitto dall’attacco congiunto di Germania, Italia e Ungheria con la connivenza della Bulgaria e quindi spartito a tavolino fra i vincitori, i quali espansero i propri confini ovvero crearono stati fascisti (Croazia) e regimi militari collaborazionisti (Serbia). La Slovenia settentrionale fu annessa al Reich tedesco, la porzione meridionale, come provincia autonoma di Lubiana, entrò a far parte del Regno d’Italia, al quale erano state annesse pure Spalato e Cattaro, che andarono a costituire con Zara, già italiana dal 1920, il Governatorato di Dalmazia, laddove la provincia di Fiume si era espansa verso l’entroterra ed il Montenegro divenne un governatorato militare italiano.

Nel paese battuto e umiliato cominciò a svilupparsi un movimento di resistenza partigiana, inizialmente promosso da nazionalisti, monarchici e militari allo sbando (raccolti nella bande “cetniche” del colonnello Dragoljub “Draza” Mihajlović), in seguito emerse la figura del leader comunista Jozip Broz “Tito”. Quest’ultimo esasperò la contrapposizione armata, con imboscate e attentati che scatenarono la reazione nemica e, coerentemente con il diritto di guerra, le rappresaglie a danno dei civili, con la conseguenza di alienare qualsiasi simpatia da parte della popolazione nei confronti degli occupanti e dei loro sostenitori locali. I cetnici, onde evitare le rappresaglie e temendo l’instaurazione di un regime comunista a guerra finita, si dissociarono da tali metodi e iniziarono a combattere i partigiani che si riconoscevano in Tito (i cosiddetti “titini”), giungendo a forme di cooperazione con le potenze occupanti, mentre le contrapposizioni religiose tra cattolici croati, serbi ortodossi e musulmani di Bosnia scatenarono una serie di stragi e di operazioni di pulizia etnica.

 

La prima ondata delle Foibe

Le truppe di occupazione cominciarono a soffrire sempre di più l’attivismo di Tito, il quale nel suo programma prometteva non solo la nascita di una Jugoslavia socialista, ma anche dai confini allargati sino a comprendere quelle terre in cui le popolazioni slave costituivano soltanto una minoranza, con particolare riferimento a Trieste, Gorizia, Fiume e l’Istria. Nel frattempo in Italia le sconfitte patite in Africa ed in Russia e l’invasione del territorio metropolitano da parte delle truppe anglo-americane portarono alla caduta del regime fascista (25 luglio 1943) ed alla successiva dichiarazione dell’armistizio (il successivo 8 settembre). Quest’ultimo avvenimento colse del tutto impreparati i vertici militari e civili e, mentre il re ed il governo scappavano da Roma, le truppe tedesche presero il controllo della penisola con lo scopo di frenare l’avanzata anglo-americana da sud. Nella penisola istriana, tuttavia, i tedeschi s’impossessarono solamente della costa, temendo uno sbarco nemico, sicché nell’entroterra, mentre i presidi militari italiani si scioglievano e le autorità non ricevevano ordini dall’alto, presero il potere i partigiani sloveni e croati di Tito. In poco meno di un mese costoro dichiararono unilateralmente l’annessione dell’Istria alla futura Jugoslavia e cominciarono a perseguitare coloro i quali per effetto del loro ruolo sociale o lavorativo rappresentavano lo Stato italiano, una presenza cioè che andava estirpata e annientata: vennero colpiti maestri, funzionari pubblici, agenti di sicurezza e loro congiunti.

 

Norma Cossetto, martire delle Foibe

Nel migliaio di nostri connazionali che in Istria e Dalmazia sparirono nel nulla, rientrava pure Norma Cossetto, una giovane studentessa istriana dell’università di Padova, rientrata a casa per le ferie estive. Suo padre era un piccolo proprietario terriero ed in questo caotico momento venne denunciato dagli insorti come nemico del popolo e simbolo dell’oppressione italiana nei confronti delle masse rurali slave, sicché quasi tutta la famiglia venne sequestrata e processata. Rilasciata una prima volta, Norma fu poi nuovamente catturata, violentata, stuprata, mutilata e infine scaraventata nella foiba di Villa Surani: Norma ha poi ricevuto la laurea honoris causa dall’ateneo padovano e la Medaglia d’Oro al Valor Civile dalla Repubblica italiana.

Nel corso dell’autunno i Vigili del Fuoco di Pola, guidati dal maresciallo Arnaldo Harzarich, recuperarono decine di corpi dal fondo delle foibe istriane, gli abissi di origine naturale che scendono nel sottosuolo per decine di metri e caratterizzano pure l’altipiano carsico alle spalle di Trieste e Gorizia. Molte delle salme recuperate erano ancora legate a coppie col fil di ferro ai polsi, poiché, dopo violenti interrogatori e processi sommari, le vittime di questa ondata di violenza venivano condotte sul ciglio della foiba legate a due a due, ma solo uno dei prigionieri veniva ucciso, trascinandosi così nella caduta il compagno di sventura ancora vivo: nei giorni seguenti, dal fondo delle foibe emergevano invano e sempre più flebili lamenti ed invocazioni di aiuto da parte di queste persone agonizzanti e ferite.

 

La Zona di Operazioni Litorale Adriatico

A inizio ottobre 1943, le truppe tedesche scatenarono un’offensiva che costrinse i partigiani a ritirarsi dall’Istria, la quale entrò a far parte assieme a Trieste, Gorizia, Udine, Lubiana e Fiume della Zona di Operazioni Litorale Adriatico, una sorta di governatorato militare tedesco nel quale apparivano assai effimeri i poteri della Repubblica Sociale Italiana, costituita da Benito Mussolini nell’Italia centrosettentrionale. In questo territorio passavano importantissime vie di rifornimento dall’Austria e l’attività partigiana risultava particolarmente significativa, pertanto le truppe di occupazione agirono con particolare durezza. Il manualetto Bandenkampf, elaborato da ufficiali tedeschi reduci dalla cruenta lotta antipartigiana in Russia, serviva come guida per colpire con particolare spietatezza le bande armate. Avendo come base operativa il campo d’internamento della Risiera di San Sabba, forze di polizia tedesche, fasciste e collaborazioniste slovene resero la vita difficile ai vari movimenti resistenziali, poiché, oltre ai titini, operavano pure i Comitati di Liberazione Nazionale.

I CLN, però, oltre ad essere antifascisti, operavano pure per salvaguardare l’italianità della zona dalle eccessive mire territoriali jugoslave, sicché i partigiani di Tito non si fecero scrupoli a ricorrere alla delazione ovvero ad attirare in imboscate tedesche oppure ad eliminare con processi farsa quanti non riconoscevano il loro piano espansionista. Le sezioni locali del Partito Comunista Italiano in particolare vennero fagocitate nell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, tanto che partigiani italiani della Brigata Garibaldi-Natisone avrebbero sterminato in un’azione fratricida alle malghe di Porzûs nel febbraio 1945 i vertici della Brigata Osoppo, nettamente contrari alle rivendicazioni jugoslave.

 

La “corsa per Trieste”

Nella primavera del 1945 la linea Gotica allestita sugli Appennini dalle truppe tedesche e della RSI cedette e le truppe anglo-americane dilagarono nella pianura padana. Entrò così nel vivo quella che gli storici hanno definito “la corsa per Trieste”, che presentava due competitori. Da una parte c’erano gli anglo-americani appunto, i quali volevano raggiungere Trieste per assicurarsi il controllo del porto, da usare come base logistica in previsione di una resistenza a oltranza delle truppe tedesche in Austria e Germania meridionale. Dall’altra vi era Tito, il quale dette ordine ai suoi generali di trascurare la liberazione di città come Zagabria e Lubiana, sicuramente importanti, ma la cui appartenenza alla rinascente Jugoslavia nessuno avrebbe osato mettere in discussione: la cosa più importante era giungere a Trieste, Gorizia, Fiume ed in Istria, affinché il controllo militare di queste terre nel corso delle imminenti trattative di pace costituisse una caparra sulla loro definitiva annessione. D’altro canto il segretario del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, invitò i giuliani ad accogliere l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia come un liberatore, ma le differenze con i liberatori angloamericani sarebbero state da subito evidenti.

Nonostante la repressione tedesca e la contrapposizione con i partigiani titini, il CLN di Trieste riuscì ad organizzare alle prime luci dell’alba del 30 aprile 1945 l’insurrezione cittadina, che costrinse in poche ore i tedeschi ad arroccarsi in pochi punti strategici della città in attesa di arrendersi ad un esercito regolare.

La sera del 30 aprile i Volontari della  Libertà, gruppi armati del CLN, avevano il pieno controllo della situazione, ma la mattina dopo vennero esautorati dai partigiani titini, vincitori della corsa per Trieste e pronti a considerare fascista e quindi ad eliminare chiunque si opponesse alla conquista jugoslava.

 

I Quaranta Giorni

Dal primo maggio al 12 giugno  1945 a Trieste, Gorizia, Fiume  e lungo la costa istriana la sedicente giustizia proletaria non si limitò a colpire soltanto ex fascisti o personaggi collusi con la precedente presenza tedesca, ma anche esponenti della società civile, forze dell’ordine, ex partigiani antifascisti e patrioti democratici, personalità insomma che avrebbero potuto costituire l’ossatura di un’opposizione al progetto espansionista e totalitario di Tito.

Manifestazioni di italianità venivano represse a fucilate con morti e feriti nella quasi totale indifferenza delle truppe britanniche nel frattempo giunte in zona, mentre dall’entroterra continuavano a giungere colonne partigiane che sfilavano nelle strade reclamando l’annessione alla Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia.

Le operazioni di pulizia politica avviate dall’OZNA, la polizia segreta di Tito, si conclusero con uccisioni di massa svolte con le già accennate metodologie nelle foibe a ridosso di Trieste e Gorizia, ma non mancarono fucilazioni, fosse comuni e deportazioni verso terrificanti campi di prigionia.

 

La seconda ondata di Foibe

La liberazione a Trieste fu estremamente diversa da quella del resto dell’Italia settentrionale ed un esempio può essere assai significativo. Il 25 aprile 1945 i finanzieri di Milano combatterono a fianco dei partigiani contro le ultime retroguardie tedesche che stavano abbandonando il capoluogo lombardo, ricevendo in seguito medaglie, encomi e gratificazioni. Analogamente i militi della Guardia di Finanza di Trieste fiancheggiarono i Volontari della Libertà nell’insurrezione di Trieste, ma l’indomani non giunsero gli anglo-americani, bensì i partigiani di Tito, sicché i Finanzieri vennero catturati, incarcerati e scaraventati assieme a decine di altri esseri umani nella Foiba di Basovizza, poiché la divisa che indossavano ed il giuramento di fedeltà allo Stato italiano prestato al momento di entrare in servizio rappresentavano un simbolo di quell’Italia che andava fatta sparire.

Nella città del litorale istriano e dalmata, nel frattempo, le vittime venivano imbarcate, portate al largo e poi scaraventate in mare con una pietra legata al collo. L’ex manicomio di Lubiana si trasformò in un campo di prigionia ove furono raccolti fra gli altri militari catturati a conflitto terminato e trattati senza alcun rispetto delle vigente leggi di guerra internazionali, jugoslavi che si opponevano al regime di Tito nonché esponenti dei CLN di Trieste e di Gorizia che, dopo aver combattuto contro la presenza nazista, si erano opposti al progetto espansionistico jugoslavo. Nei pressi della località di Borovnica, nella Slovenia meridionale, infine, venne allestito un campo di lavori forzati nel quale condizioni detentive e spietatezza dei carcerieri avevano ben poco da invidiare ai campi di concentramento nazisti da poco liberati.

Questa mattanza avrebbe procurato un numero imprecisato di vittime: talune stime parlano di 5.000 morti “soltanto”, altre si spingono sino a oltre 12.000, considerando anche le stragi di soldati fatti prigionieri a guerra finita: si tratta comunque di cifre agghiaccianti poiché inerenti un territorio ristretto ed avvenute in un lasso di tempo limitato.

 

L’accordo di Belgrado

Il 9 giugno 1945 a Belgrado diplomatici anglo-americani e jugoslavi addivennero ad un accordo momentaneo di spartizione della regione contesa: seguendo la linea Morgan (dal nome dell’ufficiale britannico che la propose), Gorizia, Trieste e l’enclave di Pola avrebbero fatto parte della Zona A, sotto amministrazione militare anglo-americana, mentre l’entroterra giuliano e Fiume avrebbero costituito la Zona B, sotto amministrazione militare jugoslava, in attesa che la conferenza di pace stabilisse un confine definitivo.

Nella Zona A il clima di maggiore libertà consentì il regolare svolgimento di manifestazioni di italianità, mentre nella B solamente le iniziative pro-Jugoslavia erano lecite e proseguiva il clima di intimidazione nei confronti della comunità italiana.

L’OZNA stroncò i tentativi di costituire un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria, ex partigiani comunisti italiani chiesero invano al loro segretario nazionale Palmiro Togliatti il permesso di costituire nuovamente gruppi armati di resistenza, il sacerdote istriano Don Bonifacio sparì nel nulla (recentemente beatificato essendone stato riconosciuto il martirio in odium fidei) ed il 18 agosto 1946 nella località balneare di Vergarolla un attentato provocò un centinaio di vittime (tra cui decine di bambini) nella comunità italiana. Era ormai chiaro a tutti che dietro la bandiera rossa sventolata da Tito operavano i più accaniti nazionalisti sloveni e croati, i quali intendevano annichilire la presenza italiana nelle terre sotto il loro controllo.

 

I macabri ritrovamenti

Nel corso dell’estate 1945 le autorità anglo-americane acconsentirono allo svolgimento di esplorazioni sul fondo delle foibe triestine e goriziane, anche se il Partito Comunista Italiano e le quinte colonne di Tito nella Zona A sostenevano che le uccisioni che erano state denunciate fossero propaganda fascista. Pur con le difficoltà tecniche dell’epoca e nonostante le asperità con cui le foibe,  strette e dall’andamento irregolare, si sviluppano nel sottosuolo, gli speleologi scoprirono invece sul fondo delle cavità numerosi resti umani.

Carrucole costruite a margine dell’imboccatura dello strapiombo consentirono di portare in superficie le bare in cui erano state composte alcune salme, ma si trattava ormai di cadaveri in avanzato stato di decomposizione, la cui identificazione risultò difficoltosa.

In fondo ad alcune foibe si trovò sui mucchi di cadaveri anche la carcassa di un cane nero: al termine dei loro eccidi i carnefici gettavano una bomba a mano oppure sparavano una raffica di mitra, per dare un colpo di grazia ovvero rendere pericolanti le pareti dell’abisso, e, coerentemente con una leggenda popolare, scaraventavano nel vuoto anche un cane, che avrebbe fatto la guardia alle anime dei morti affinché non venissero a chiedere giustizia nei confronti dei propri assassini. Vista la coltre di silenzio che è calata per oltre mezzo secolo su queste stragi, sembrerebbe che tale leggenda abbia avuto un fondo di verità.

 

10 febbraio 1947

La Legge 92 del 30 marzo 2004 istituì il Giorno del Ricordo in data 10 febbraio poiché quel giorno nel 1947 l’Italia firmò a Parigi la pace con cui cedeva alla Jugoslavia gran parte delle terre conquistate a costo di immani sacrifici durante la Prima Guerra Mondiale. Gorizia restava in Italia, ma divisa in due come Berlino, poiché un suo rione periferico oltre a tutto l’entroterra era stato assegnato alla Jugoslavia. L’Istria, Fiume e la Dalmazia finirono sotto la sovranità di Belgrado, mentre Trieste con il suo importantissimo porto restava in sospeso.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avrebbe dovuto nominare il Governatore del Territorio Libero di Trieste, suddiviso in una Zona A sotto governo militare anglo-americano (praticamente l’attuale provincia di Trieste) ed in una Zona B con governo militare jugoslavo (lo spicchio nord-occidentale dell’Istria con i distretti di Capodistria e di Buie). Negli anni successivi tale Governatore non fu mai individuato, avvennero la rottura dell’alleanza di Tito con Stalin nel 1948 ed il contestuale avvicinamento dello statista croato al blocco occidentale nel contesto della Guerra Fredda, manifestazioni di italianità furono represse dalla polizia militare inglese con 6 morti e decine di feriti a Trieste nel novembre del 1953. In seguito al Memorandum di Londra, il 26 ottobre 1954 la Zona A passò all’amministrazione italiana e la B a quella civile jugoslava: l’accordo bilaterale italo-jugoslavo firmato a Osimo nel novembre 1975 avrebbe reso definitivo tale confine.

Le terre che man mano finirono sotto la sovranità jugoslava furono teatro dell’Esodo, il quale coinvolse quasi 350.000 persone, tra i quali sloveni, croati ed altri europei dell’est in fuga dai regimi del socialismo reale ed il 90% della comunità italiana radicata da secoli in Istria, a Fiume e in Dalmazia.

 

Testi e immagini da: Lorenzo Salimbeni “Sul ciglio della foiba. Storia e vicende dell’italianità”, Pagine, Roma 2016; Centro di Documentazione della Foiba di Basovizza (TS); archivio della Lega Nazionale di Trieste; pannelli della mostra “Tu lascerai ogni cosa diletta più caramente. L’esilio dei Giuliano Dalmati alla fine del secondo Conflitto Mondiale”, coordinamento scientifico a cura del Prof. Avv. Davide Rossi, realizzazione Pensiero Visibile (Verona, 2015).